Che faresti se ti dicessimo che la razionalità non è sempre logica? Che ogni volta che ci sembra di prendere una decisione, valutando in modo oggettivo pro e contro, o di risolvere un problema grazie a un certo metodo, quel metodo in realtà viene influenzato da scorciatoie mentali messe in atto dal nostro cervello? Questi espedienti si chiamano bias cognitivi e sono uno dei temi di studio principali del neuromarketing, la disciplina che applica le teorie neuroscientifiche alla pubblicità, per studiare i processi mentali che incidono sui comportamenti d'acquisto dei consumatori e sulla loro empatizzazione con i brand.

Ma scopriamo meglio cosa si intende per bias cognitivo e quali sono le principali tipologie esistenti attraverso alcuni esempi.

Cos'è un bias cognitivo

Per bias in psicologia si intende l'incapacità di un individuo di percepire la realtà per com'è davvero, a causa di un errore di valutazione.

Quando siamo affetti da bias cognitivi, infatti, tendiamo a percepire la realtà in modo del tutto soggettivo, sulla base dell'interpretazione che diamo alle informazioni a nostra disposizione, anche se queste non sono correlate tra loro a livello logico o semantico.

Questo tipo di fenomeno di solito si verifica quando il nostro cervello deve fare i conti con troppe informazioni o si scontra con forti emozioni.

Inutile dire che per molto tempo il marketing ha sfruttato i bias cognitivi in modo poco corretto, per manipolare le menti dei consumatori e spingerli ad acquistare in modo compulsivo prodotti e servizi, di cui non sempre avevano bisogno. Oggi però, grazie a una consapevolezza maggiore da parte del pubblico e alla nascita del marketing etico e del neurobranding, possiamo dire che essi vengono sempre più usati nel modo giusto, con l'obiettivo di guidare il cliente nella scelta di prodotti adatti alle sue necessità.

I principali bias cognitivi con esempi

Ecco un elenco dei bias cognitivi più diffusi e di esempi di casi aziendali in cui il neuromarketing ne ha usufruito per rendere più incisivo il messaggio pubblicitario.

  1. effetto framing -> è il bias che ci induce a interpretare gli eventi in modo diverso a seconda di come ci vengono presentate le informazioni. Se lo immaginiamo inserito all'interno di un contesto promozionale, capiamo bene come la stessa frase, formulata in modo diverso, possa portare a due risultati anche molto differenti. Pensa a tutte le volte che hai acquistato il Philadelphia Light dal banco frigo perché conteneva "il 40% di grassi in meno rispetto agli altri formaggi". Lo avresti scelto ugualmente se ti avessero detto: "ha il 14% di grassi" e basta?
  2. bandwagon effect -> con questo termine ci riferiamo a uno dei bias più frequenti, che è quello che sfrutta i numeri per ottenere affidabilità e, quindi, conversioni. Lo stesso che ti induce a scegliere la crema anti-age di Vichy non perché sia prodigiosa, ma perchè "9 donne su 10 l'hanno già provata e te la consigliano". L'effetto "carrozzone" o effetto "pecora" è molto efficace, soprattutto se applicato a un'audience data driven.
  3. loss aversion -> detto anche "avversione alla perdita" è il bias cognitivo che viene scatenato ogni volta che ti ritrovi davanti a offerte a tempo "che davvero non puoi perderti". Un bias basato sull'urgenza ma talvolta anche sul principio di scarsità, fortemente presente sugli e-commerce fashion. "Affrettati, rimangono pochi pezzi in magazzino" segnalato sotto ai capi d'abbigliamento di ASOS, ti dice qualcosa? Sicuramente una tecnica infallibile, da usare però con parsimonia, per evitare di intaccare la credibilità del tuo brand nel lungo periodo.
  4. effetto alone -> "non si giudica un libro dalla copertina" eppure questo bias esiste per ricordarci che, prima o poi, per pigrizia lo facciamo tutti. Quando non è sotto sforzo, infatti, il cervello tende a formulare giudizi cognitivi universali sulla base di una piccolissima quantità di informazioni non correlate. Questo significa che se veniamo colpiti positivamente dalle campagne adv o dall'aspetto di un certo brand, probabilmente finiremo per acquistarlo, convinti che i prodotti che commercializza siano validi, anche se non gli abbiamo mai testati. Come mai? Semplicemente perché, d'istinto, pensiamo che ciò che è bello sia anche buono. Un esempio valido in questo caso è Apple. Nessuno mette in dubbio che le prestazioni di Mac e Iphone siano eccezionali, ma diciamocelo: c'è chi ammette di sceglierli soprattutto per il loro design impeccabile e le loro pubblicità mozzafiato e chi mente.
  5. potere della gratuità -> forse il più immediato, riguarda il desiderio impulsivo di fare/comprare qualcosa, quando sappiamo di ottenere un regalo in omaggio. Quanti ovetti Kinder ci siamo mangiati solo per scoprire quale fosse la sorpresa?

Conoscere i principali bias cognitivi e applicarli in modo etico nelle tue strategie di comunicazione è senz'altro una buona tecnica per provare a aumentare il tuo engagement, ma se vuoi aiuto da parte di professionisti del mestiere per migliorarlo, puoi sempre scriverci.

Ti aiuteremo a sviluppare la strategia più adatta a te.